“La mafia è come i pidocchi, cresce dove c’è lo sporco”.
Tutti noi romagnoli abbiamo conservato per decenni l’illusione che il nostro sistema economico fosse profondamente “sano”, amalgamato da un forte collante di “coesione sociale”, e innervato su un brulicare di associazionismo e volontariato, in sostanza immune ai pericoli di infiltrazioni mafiose.
Molti di noi sarebbero pronti a giurare ancora che il nostro tessuto imprenditoriale sia sostanzialmente estraneo a legami con le cosche mafiose, costituito com’è di tanti esempi di industriali e artigiani romagnoli che “si sono fatti da soli”, partendo dalla loro bottega o garage e che negl’anni hanno creato imperi produttivo-finanziari.
Beh… a dire il vero negli ultimi anni le indagini delle varie Procure antimafia e i numerosi episodi di cronaca locale, dicono il contrario.
Anche a Cesena é ora di svegliarsi e alzare la guardia.
Non tutti sanno che l’Emilia-Romagna (secondo i dati del Ministero degli Interni) é la prima regione del Centro-Nord per valore di beni immobili confiscati ai clan malavitosi.
È probabile che la crisi economica, invece che disincentivare il pericolo di infiltrazioni, abbia acuito la fame dei clan, che cercano nuove vie per riciclare il denaro sporco ed entrare in affari nelle nostre zone ancora altamente produttive: offrono liquidità alle imprese in difficoltà del territorio (che il sistema bancario non eroga più), crescono a dismisura i “poveracci” che cadono nella rete dell’usura e delle scommesse clandestine. Tanti sono gli imprenditori costretti a scendere in affari con i boss per sfruttare i costi di manodopera nettamente inferiori, ma frutto di evasione, sfruttamento, corruzione ed estorsione.
Ad un’analisi più attenta, magari con le lenti di un osservatore informato sulle dinamiche con cui usano muoversi le ’ndrine o le cosche mafiose, anche a Cesena si potrebbero leggere tanti piccoli episodi, che nell’insieme potrebbero disegnare un quadro preoccupante:
• incendi dolosi “appicciati” a capannoni, autovetture e sedi di partito ( scambiati per meri incidenti o episodi di violenza politica) che in realtà potrebbero essere sintomo di nuove minacce di estorsione o di intimidazione;
• episodi di criminalità, catalogabili anche come scontri per la difesa di zone per lo spaccio di droga in Riviera, che ha sempre avuto in Cesena un fulcro dello smercio;
• le violenze accadute in estate all’ippodromo di Cesena;
• arresti e condanne per maxi evasioni o riciclo di denaro sporco.
La speranza che i boss mandati al “confino” in Emilia-Romagna, una volta allontanati dalle loro regioni di mafia, potessero smettere di delinquere é miseramente fallita. Al contrario si é rivelato un efficacissimo modo per facilitare il trapianto del cancro mafioso anche nella nostra realtà, che probabilmente si sta mostrando molto più permeabile del previsto, proprio per l’impreparazione culturale a questi fenomeni. Non abbiamo gli anticorpi giusti. L’Emilia-Romagna “esente da mafia” non esiste più.
Le indagini più recenti che hanno lambito o interessato direttamente Cesena, provano che esistono anche qui aderenze tra imprenditori collegati alla malavita con il ceto politico locale.
Nel 2012 furono arrestati esponenti della famiglia Ionetti, indicati dagli inquirenti come “l’Amministratore giudiziario per conto della cosca Condello di Reggio Calabria”. Avevano affari nel settore dei trasporti per l’edilizia e la gestione dei rifiuti.
A fine 2014 viene rivelato un legame forte tra la Romagna e la galassia cooperativa al centro dello scandalo romano di “mafia capitale”. Tra gli arrestati ci sono anche alcuni componenti del cda di Formula Ambiente e il socio Salvatore Buzzi, presidente della “29 Giugno Servizi-Società Cooperativa e Lavoro”: tra le controllate della “29 Giugno” c’è infatti il “Consorzio Formula Ambiente”, partecipato, tra gli altri, da Formula Servizi (Forlì), Ciclat Trasporti (Ravenna), e Cils (Cesena). Buzzi, uomo chiave dell’inchiesta che aveva forti collegamenti con Forlì e Cesena, è accusato di numerosi episodi di corruzione e nella corposa ordinanza di custodia cautelare si raccontano svariate vicende di appalti truccati e di pubblici ufficiali corrotti. La coop di Buzzi ha tra le controllate il Consorzio Formula Ambiente. Questa con 80 milioni di fatturato e 650 dipendenti ha sede a Cesena e riunisce altre 23 coop, 20 delle quali a carattere sociale. Buzzi ne è stato il fondatore insieme a Formula Servizi di Forlì e fino al 2012 presidente, essendone socio al 49%”. La corruzione, sostiene l’accusa, era la via facile per arrivare ad acquisire posizioni dominanti e a drenare denaro pubblico che poi finiva in mille rivoli. Buzzi, braccio destro di Massimo Carminati (già banda della Magliana e “intoccabile perché avrebbe portato soldi a tutti” grazie ai legami con Finmeccanica) non era solo.
Infine, a fine gennaio 2015, l’operazione antimafia denominata “AEmilia” che ha portato in carcere 117 persone collegate al clan del Grande Aracri di Cutro (altre 46 sono agli arresti domiciliari), che ha svelato una rete fittissima di infiltrazioni mafiose, molto pervasiva e che coinvolgeva imprenditori, tanti politici (esponenti del centro-destra), carabinieri, giudici, carabinieri, giornalisti, preti della nostra regione. Una mafia che anche in Emilia cercava di rendersi autonoma, controllando direttamente le imprese che da un lato evadevano il fisco e contemporaneamente vincevano appalti per la ricostruzione post-sisma, controllando l’informazione e influenzando le associazioni di contrasto alla mafia.
Ricordiamo che il Comune di Cesena ha tra i suoi fornitori principali “Formula Ambiente” (per appalti per la spazzatura delle strade e la cura del verde pubblico), quindi una riflessione profonda andrebbe sollevata in città e non ci si può accontentare del comunicato stampa di chiarimenti inviato dal Sindaco Lucchi.
Non é mia intenzione sollevare accuse mirate contro chicchessia o fare banale dietrologia per attaccare una parte politica (si sa che la mafia sta con il potere). Tutt’altro. Propongo un ragionamento più ampio, perché sono profondamente preoccupato che il nostro tessuto imprenditoriale, piegato da una drammatica crisi (di cui non si vede il becco di ripresa), possa ritrovarsi, tra qualche anno al centro di un sistema, in cui sono i boss a dettare le regole del gioco e non il mercato o la libera iniziativa.
Mi rivolgo agli attori principali del territorio (amministratori e esponenti politici, associazioni di categoria e culturali, banche e Fondazione) che nella crisi non hanno certo brillato per coesione e sono stati spesso incapaci di alleviare gli effetti della recessione, perché almeno in questa fase promuovano una seria riflessione su come debellare DA SUBITO il cancro della mafia.
Non auspico certo una caccia alle streghe, ma mi piacerebbe che per una volta si parlasse chiaro agli imprenditori e ai cittadini.
Lotta senza confini alla mafia anche a Cesena, soprattutto nei settori più esposti al pericolo: imprese dell’edilizia, società sportive e il settore del divertimento.
Questo significa pretendere massima trasparenza negli incarichi e negli appalti pubblici, maggiore controllo sulla spesa pubblica, “liste nere” di imprese in odor di mafia, rispetto certosino delle regole sul conflitto di interessi per amministratori e dipendenti pubblici, costituire subito uno “Sportello legalità” per imprese e cittadini, un ampio programma di iniziative per sostenere le Associazioni che promuovano iniziative per educare consumatori e giovani imprenditori al rispetto delle regole.
Cambiamo strada finchè siamo in tempo. Alziamo la guardia e facciamo vedere che a Cesena lavorare eticamente è la regola. Anzi, è l’unico modo che vogliamo utilizzare per “fare impresa”.
Debellare la mafia, significa salvaguardare le imprese sane, i lavoratori, dare un futuro e una speranza ai giovani, e pretendere comportamenti moralmente irreprensibili dai politici.
Teniamo lontano la mafia da Cesena: “la mafia è come i pidocchi, cresce dove c’è lo sporco“.
Paolo Montesi